Recensioni. Livermore, verso un’analisi costi-benefici globale

Può l’analisi costi-benefici diventare globale? Partendo da questa domanda Livermore, l’Autore del saggio Can cost-benefit analysis of environmental policy go global? analizza, nell’ambito della regolazione ambientale, la vocazione globale della Cost-Benefit Analysis (CBA), strumento di better regulation più conosciuto e diffuso tra i paesi industrializzati. Il punto di partenza è che la natura della regolazione ambientale, i cui effetti non sono limitati ai confini geografici, ha incentivato, in breve tempo, l’esportazione di modelli decisionali a sostegno delle politiche a tutela dell’ambiente, in particolare della CBA, così come adottata negli Stati Uniti e in Europa seguendo il modello RIA.

Secondo l’Autore, la CBA può diffondersi in maniera globale, e in particolare anche tra i Paesi non industrializzati, a condizione di valorizzarne gli aspetti di flessibilità necessari per adattarla ai diversi contesti politico e istituzionali in cui viene innestata.

Sulla base di tale tesi, il saggio è articolato in tre parti. La prima fornisce una breve rassegna dell’utilizzo dell’analisi costi-benefici in diversi Stati del mondo; poi indica alcuni vantaggi che questo strumento di qualità della regolazione può apportare ai Paesi in via di sviluppo e, infine, segnala alcuni problemi connessi alla sua applicazione. Nella seconda parte, l’Autore analizza una serie di aspetti problematici che gli Stati in via di sviluppo possono incontrare nell’importazione della CBA nei propri ordinamenti. Da ultimo, la terza parte individua gli elementi che possono rendere la CBA globale.

Nella prima parte, l’Autore, dopo aver brevemente descritto lo sviluppo della CBA negli Stati Uniti e in Europa, rileva come strumenti di analisi di impatto, seppur con diversi gradi di sviluppo e approfondimento metodologico, vengano da tempo utilizzati da diversi Stati nell’ambito della regolazione ambientale, seppur in assenza di un obbligo giuridico in tal senso. Diversi sono gli esempi forniti: le analisi costi-benefici sponsorizzate dalla Banca mondiale per esaminare gli effetti della politica di conservazione del suolo messicano, della deforestazione in Brasile o del controllo delle malattie in Argentina; la collaborazione tra l’agenzia ambientale americana e la struttura governativa cinese per studiare in modo molto dettagliato e approfondito, dal punto di vista quantitativo i costi e i benefici della politica di controllo dell’inquinamento atmosferico; l’analisi di impatto adottata da ricercatori indiani per misurare l’uso del biogas nelle aree rurali o l’impatto della decontaminazione del fiume Gange. A questi esempi si aggiungono le azioni adottate dalle associazioni non governative che, nei Paesi in via di sviluppo, spesso utilizzano la CBA come strumento per spingere i governi ad adottare politiche più stringenti a favore dell’ambiente e della salute.

Il frequente ricorso alla CBA nell’ambito delle politiche ambientali nei Paesi in via di sviluppo è giustificata, ad avviso dell’Autore, da una serie di benefici connessi all’uso di questo strumento. Si tratta, innanzitutto, di benefici economici poiché la CBA consente di verificare che i costi siano inferiori ai ricavi associati alla proposta regolatoria; ciò è particolarmente rilevante per i Paesi in via di sviluppo che, come noto, hanno gravi problemi di bilancio. Inoltre l’Autore rileva sia il contributo della CBA a migliorare la trasparenza del processo decisionale, spesso opaco proprio in questi Paesi; sia la capacità della CBA di prestare supporto ai decisori politici perché adottino politiche ambientali meno discrezionali ed eccessivamente dispendiose grazie alla “standardizzazione” e alla “neutralità” del modello CBA.

Il ricorso alla CBA, tuttavia, presenta alcuni problemi. Secondo l’Autore quello più significativo è il parametro rispetto al quale i costi e i benefici associati alla regolazione ambientale sono misurati. Il tradizionale presupposto teorico della teoria del consumatore e della correlazione tra preferenze e benessere, infatti, non sarebbe idoneo a fornire una base soddisfacente per il calcolo dei costi e dei benefici. Il concetto di benessere è stato dunque oggetto di diversi ulteriori sviluppi; tra questi sono citati il modello che fa leva sul concetto di “capabilite”s sviluppato da Amartya Sen e quello del Quality Adjusted Life Yeras (QALY) sviluppato nell’ambito dell’analisi medica.

Nella seconda parte, l’Autore individua alcuni limiti all’utilizzo della CBA da parte dei Paesi in via di sviluppo; tali limiti possono disincentivare l’utilizzo della CBA oppure rendere l’utilizzo di questo strumento meno efficace. Tra questi limiti, l’Autore rileva, innanzitutto, il contributo delle esternalità negative nelle scelte di politica ambientale e il diverso trade-off tra la crescita economica e la tutela della salute e dell’ambiente che caratterizza le “preferenze al rischio” dei paesi industrializzati da quelli in via di sviluppo. Come noto, i benefici apportati dalla regolazione in materia ambientale sono frequentemente privi di un prezzo di mercato cui fare riferimento; il termine da considerare, dunque, diventa la preferenza per la riduzione del rischio ambientale e il costo che si è disposti a sostenere per ottenere tale riduzione. Se è vero che i paesi industrializzati sono disposti a pagare per ridurre l’inquinamento atmosferico più di quanto siano disposti a pagare quelli in via di sviluppo, la CBA potrebbe stimare queste “preferenze” e giungere a giustificare politiche ambientali dei paesi più poveri meno restrittive di quelle adottati nei paesi industrializzati poiché presentano un complessivo beneficio netto positivo. D’altro canto, le diverse tipologie delle “preferenze al rischio” potrebbero giustificare, sempre dal punto di vista economico, fenomeni di trasferimento del rischio dai paesi più ricchi a quelli più poveri, come del resto, indicato dalla “Summer Memo” firmata nel 1991 dall’allora capo economista della Banca Mondiale Lowrence Summer.  Un altro limite all’utilizzo della CBA da parte dei paesi non industrializzati è, secondo l’Autore, riconducibile all’assenza di risorse economiche (e umane) necessarie all’adozione di una CBA di qualità. L’impegno economico iniziale (di start-up) all’adozione della CBA e alla raccolta delle informazioni necessarie ad elaborarla è tale da non essere giustificata nei paesi in via di sviluppo.

La terza parte del saggio è, infine, dedicata all’individuazione degli elementi che, se adeguatamente sviluppati, possono rendere globale la CBA poiché aiutano i Paesi in via di sviluppo ad adottarla con maggiore sistematicità. Si tratta di aspetti diversi che prendono in considerazione sia la metodologia sia l’organizzazione della CBA. In merito alla metodologia, l’Autore rileva, ad esempio, la necessità di considerare adeguatamente costi e i benefici legati alla regolazione ambientale facendo riferimento al concetto ampio di sviluppo economico. Si tratta di valutare gli effetti economici diretti e indiretti sia con criteri economici sia con criteri quantitativi e/o qualitativi. In quest’analisi rileva anche l’aspetto distributivo inteso come fattore che “attualizza” l’utilità del benessere collettivo compreso quello espresso in termini di “future generazioni” particolarmente rilevante in materia ambientale.

Rispetto al profilo organizzativo, invece, l’Autore evidenzia l’importanza della collaborazione internazionale che potrebbe sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’adozione della CBA grazie alla circolazione e alla condivisione di best practices, linee guida e metodologie operative.

(Recensione a cura di Mariangela Benedetti)

M.A. Livermore, Can cost-benefit analysis of environmental policy go global?, in N.Y.U. Environmental Law Journal, vol. 19, 2012, pp. 148-192