L’analisi di impatto della regolazione nel Regno Unito. Istituzioni, metodi e controllo giudiziale

L’esperienza inglese di analisi di impatto della regolazione (AIR) si distingue da altre realtà limitrofe sotto vari aspetti. Prendendo ad esempio due casi paradigmatici, gli Stati Uniti e l’Italia, si nota come il Regno Unito  sia per certi versi una sintesi dei primi due, soprattutto per quanto concerne il suo ambito di applicazione.

L’ordinamento statunitense

In particolare, negli Stati Uniti, terra di emersione del fenomeno dell’analisi di impatto, essa deve essere compiuta da tutte le agenzie federali, intendendo per esse sia gli apparati amministrativi tradizionali, sia le autorità indipendenti. Le stesse sono tenute a sottoporre al vaglio dell’Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA), l’oversight body[1] inserito all’interno del Gabinetto presidenziale, tutte le proposte regolatorie più rilevanti. L’OIRA ha un potere di veto nei confronti di quegli atti di regolazione che non soddisfano i requisiti procedurali richiesti dalla legge in materia di analisi di impatto. La mancata osservanza di tali norme, d’altro lato, non fa sorgere in capo ai privati il diritto di impugnare gli atti regolatori interessati, poiché la legge esclude un qualsiasi potere di sindacato giurisdizionale per mancato adeguamento alle regole previste in materia di analisi di impatto. Restano esclusi da tali obblighi procedurali le Commissioni Indipendenti di Regolazione, ossia le autorità di regolazione i cui vertici non possono essere rimossi senza giusta causa dal Presidente.

L’esperienza italiana sull’AIR

In Italia, all’opposto, la formale introduzione dell’AIR risale alla legge sulla semplificazione n. 50/1999 e al seguente DPCM del 27 marzo 2000, limitatamente agli atti del Governo. Successivamente essa ha conosciuto un lungo periodo di sperimentazione, rivelatosi fallimentare per il maldestro tentativo del legislatore di trasporre troppo arditamente un istituto di matrice statunitense all’interno del nostro ordinamento. Il processo di estensione del fenomeno AIR è ripreso con la legge n. 229 del 2003 che, sulla scorta delle raccomandazioni formulate dall’OCSE, ha imposto anche alle Autorità Indipendenti di dotarsi di metodologie di analisi di impatto della regolazione. Successivamente, sulla base della legge di semplificazione del 2005 (legge n. 246 del 2005),

Il DPCM n. 170 del 2008 ha introdotto la  nuova disciplina sull’analisi di impatto della regolamentazione e sulla verifica ex post (VIR). Nel 2013 è stata sottoposta a consultazione pubblica la nuova disciplina in materia di AIR e VIR, la quale tuttavia non è ancora stata formalmente adottata; il testo legislativo di riferimento, dunque, rimane tuttora il DPCM n. 170. Con esso si impone l’uso dell’analisi d’impatto in modo generalizzato per tutti gli atti normativi predisposti dal Governo, con la sola esclusione dei disegni di legge costituzionale, degli atti in materia di sicurezza interna ed esterna e dei disegni di legge di ratifica di trattati internazionali che non comportino spese o la costituzione di nuovi uffici. Al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della  Presidenza del Consiglio) è affidato il ruolo di coordinamento tra le varie amministrazioni coinvolte nell’effettuazione dell’analisi, nonché di referente unico sulla materia. Esso dunque si pone alla stregua di un oversight body, sebbene con competenze limitate e in ogni caso esclusivamente consultive, poiché non dispone di alcun potere di bloccare in via definitiva l’introduzione di un nuovo atto regolatorio che non passi positivamente il test di analisi di impatto.

Caught in the middle: l’analisi di impatto nel Regno Unito

L’esperienza inglese si pone in qualche modo a cavallo tra le due realtà appena illustrate brevemente. Similmente agli Stati Uniti, lo UK è stato tra i primi ad introdurre l’analisi di impatto, tuttavia ne restringe il campo di applicazione ai dipartimenti e agency governative, di cui valuta la legislazione primaria, secondaria e i codes of practice o guidance[2]; le autorità indipendenti di regolazione infatti non sono sottoposte a un obbligo generale di effettuazione dell’analisi , ma esso è previsto da normative isolate per singole agency[3]. D’altro lato, al pari del sistema italiano, concepisce il ruolo dell’oversight body inglese come essenzialmente dialogico e collaborativo. Il Regulatory Policy Committee (RPC)[4], infatti, ha il solo potere di emettere un giudizio sull’analisi effettuata dalle Unità Dipartimentali, a seconda che la ritenga o meno “fit for the purpose”. Ciò tuttavia non impedisce astrattamente al Cabinet di procedere all’adozione dell’atto corredato da un’analisi non adeguata allo scopo. Tale potere attenuato, probabilmente, trova le sue ragioni all’interno della cornice istituzionale in cui opera il RPC. Infatti, a differenza degli oversight body precedentemente presentati, quello inglese si contraddistingue per il fatto di essere l’unico organo indipendente dal potere politico di cui sindaca gli atti. In particolare, sia l’OIRA che il DAGL fanno capo agli uffici del governo centrale; pertanto, sebbene l’analisi effettuata si propone di valutare solamente gli aspetti tecnico – economici della proposta regolatoria e di astenersi dunque da qualsiasi pronuncia diretta sul merito, il potere di revisione conferito ad essi si giustifica anche in base alla possibilità per il governo centrale di influenzare indirettamente l’operato e le scelte effettuate da tali oversight body, creando dunque una invisibile continuità tra le policy regolatorie e l’attività di revisione che incombe su di esse. Il RPC invece, è stato creato nel 2009, e nel 2012 è divenuto un ente pubblico indipendente, esterno al circuito dipartimentale e con funzione consultiva. Esso pertanto non opera sotto la direzione dell’ufficio di Gabinetto o di qualunque ministero. L’unico trait d’union con l’apparato centrale è dato dalla presenza di linee guida governative per l’effettuazione dell’analisi di impatto. La sua indipendenza, pertanto, requisito apparentemente naturale e imprescindibile per un organo con funzioni di revisione, giustifica allo stesso tempo la minore incidenza del ruolo svolto, proprio per evitare il formarsi di analisi di impatto strumentalmente ostruzionistiche da parte di un apparato esterno al circuito decisorio centrale.

È da segnalare, tuttavia, che nella pratica tale sistema subisce dei correttivi. Il sistema inglese, infatti, ha avuto uno sviluppo anomalo anche per quanto riguarda il numero degli apparati coinvolti nella fase di revisione delle proposte regolatorie. In particolare, l’attività del Regulatory Policy Committee è assistita da un organo interministeriale sito nel Cabinet del Primo Ministro, il Reducing Regulation Committee (RRC), che procede all’approvazione o meno delle proposte regolatorie, sulla base della valutazione del RPC. Pertanto, sebbene non vi sia alcun obbligo in tal senso, solitamente il RRC non approva alcuna misura regolatoria che non abbia ricevuto un parere favorevole da parte dell’oversight body.

Ciò ha portato, di fatto, ad accrescere il potere del Regulatory Policy Committee il quale, in via di prassi si trova a dover esprimere un parere quasi vincolante sulla adeguatezza della misura regolatoria agli standard dell’analisi di impatto. Ne deriva che il Cabinet, tramite il RRC, mantiene un controllo sulla coerenza e sull’unitarietà delle politiche dei singoli Dipartimenti; tuttavia, tale discrezionalità politica subisce un forte contrappeso grazie al condizionamento esercitato da un organo indipendente. Tale circostanza, dunque, influisce sugli equilibri istituzionali esistenti tra il RPC e gli apparati governativi, spostando il focus del potere più verso l’organismo di revisione. Peraltro, è indicativa anche la composizione del RPC, diviso tra Segretariato e Committee. In particolare, il primo è formato da funzionari di carriera dell’amministrazione; il secondo invece è formato da esperti della regolazione e da esponenti del mondo imprenditoriale e delle associazioni a protezione dei consumatori. Pertanto, è chiara l’intenzione dell’AIR, ossia quella di coniugare i profili più strettamente politici, legati alla scelta dei contenuti della singola policy, con uno degli obiettivi classici degli strumenti di better regulation: l’apertura della procedura alla partecipazione degli interessati e, più nello specifico, la considerazione dell’impatto della misura regolatoria sulla realtà economica di riferimento. Non a caso uno dei punti fondamentali che, secondo le linee guida governative sull’effettuazione dell’AIR, devono essere considerati al momento dell’effettuazione dell’analisi è l’impatto della misura regolatoria sulle imprese[5]. Il ruolo dell’analisi di impatto nel contesto istituzionale inglese, pertanto, pare essere mutato negli ultimi anni, a seguito del rafforzamento del ruolo del RPC. Tradizionalmente, infatti, il sistema inglese si caratterizzava per il ruolo fortemente politico dell’analisi di impatto[6]. Nel sistema precedente infatti, gli organi deputati al controllo sulle analisi rispondevano direttamente al Cabinet del Primo Ministro, il quale pertanto si serviva di tale strumento per rafforzare indirettamente il controllo politico sulle proposte regolatorie e legislative del proprio esecutivo. Il recente decentramento del sistema di oversight e il suo affidamento a un organismo indipendente e proteso verso la compagine imprenditoriale, nonché la notevole incidenza delle sue valutazioni sulle sorti della misura regolatoria, sono in grado di depotenziare la politicizzazione dell’analisi d’impatto a favore di un suo utilizzo più razionale e tecnocratico. Pare evidente, dunque, l’intento del Governo inglese di rendere l’analsi uno strumento tecnico di effettiva better regulation e di emersione degli interessi degli stakeholders. Non a caso, la stessa AIR è imposta non a tutte le proposte legislative e regolatorie, ma solo a quelle che hanno un effettivo impatto – in termini di oneri economici e amministrativi – sulle imprese, sul terzo settore e, al di sopra di una certa soglia, sul settore pubblico. Circa le modalità di effettuazione dell’analisi e del relativo controllo ex post, il Governo inglese all’interno delle linee-guida ne descrive minuziosamente i passaggi, i quali includono peraltro la considerazione anche dei costi cd. non monetizzabili, la cd. opzione-zero e la partecipazione degli interessati.

AIR e controllo giurisdizionale

Oltre a permettere un controllo interno all’amministrazione, l’analisi di impatto viene utilizzata quale utile strumento per il successivo scrutinio giudiziale della misura adottata. Spesso infatti le Corti fanno riferimento all’analisi per ricostruire la volontà e il percorso argomentativo effettuato dall’amministrazione in sede di adozione dell’atto. Il loro ruolo pertanto costituisce un tassello fondamentale nel comprendere l’incidenza dell’analisi di impatto sul quadro istituzionale inglese. Infatti, lo scrutinio giudiziale può essere visto, per certi versi, come la forma più sottile e resistente di accountability del regolatore. Tale forza dipende in parte dalla forza intrinseca che gli ordinamenti di common law, attraverso il meccanismo dei precedents e dello stare decisis, impartisce alle decisioni giurisprudenziali. Dato però il progressivo affievolirsi di tali principi, e dunque data la maggior libertà decisionale della singola corte rispetto ai casi sottoposti, l’importanza dell’operato dei giudici risiede anzitutto nella funzione che viene loro attribuito dall’ordinamento dal punto di vista istituzionale. Gli orientamenti giurisprudenziali possono rovesciare la volontà politica espressa attraverso l’adozione di una misura regolatoria. Pertanto, l’operato dei giudici influisce indirettamente sul merito amministrativo e politico. Di conseguenza è estremamente utile ricostruire la traiettoria argomentativa su cui si basa lo scrutinio giurisdizionale degli atti regolatori, al fine di coglierne la possibile incidenza sugli equilibri istituzionali esistenti.

A tal proposito, è da segnalare che l’attività amministrativa nel Regno Unito è tradizionalmente sottoposta a sindacato giurisdizionale su tre livelli: quello di illegality, irrationality e procedural impropriety[7]. Per illegality si intende che l’organo che ha emanato l’atto non aveva il potere di farlo. Col termine irrationality invece si riassume un parametro complesso, in cui rientrano esemplificativamente le figure dell’irragionevolezza, del vizio di istruttoria e della motivazione impropria; in generale, si includono in tale livello tutte le decisioni che comportano una deviazione abnorme dalla logica o dal buon senso. Tale categoria, pertanto, risulta essere in continua evoluzione ed espansione, ritenendosi in particolare che vi possa rientrare il sindacato basato sul principio comunitario di proporzionalità. Similmente, la categoria della procedural improperty (o unfairness) raduna attorno a sé molteplici parametri di revisione, quali quella della decisione imparziale, del giusto procedimento (e dunque partecipazione degli interessati, diritto di accesso, ecc…), nonché in generale tutti i principi connessi alla cd. natural justice.
Normalmente, l’analisi di impatto della regolazione viene utilizzata per verificare il rispetto, da parte del legislatore o dell’organo amministrativo, del principio di proporzionalità. È infatti tramite tale strumento procedurale che si ricostruisce la valutazione operata dall’amministrazione soprattutto in riferimento ai soggetti possibilmente danneggiati dalla misura, e dunque la proporzionalità della stessa. Analogamente, il parametro della fairness procedurale consente di verificare, attraverso l’analisi di impatto, che ogni fase proposta regolatoria sia stata adeguatamente sottoposta a consultazione da parte degli interessati.

È da segnalare, tuttavia, che l’atteggiamento delle Corti inglesi nei confronti di tali parametri si muove in ogni caso all’interno di una cornice rigorosamente rispettosa della volontà politico-parlamentare. L’analisi di impatto, pertanto, certamente comporta un più agevole scrutinio del giudice nei confronti dell’attività regolatoria, ma tale indagine non vale a scardinare l’area di discrezionalità di cui gode l’organo politico nella scelta del contenuto della policy. Rispetto a tale ambito, pertanto, le garanzie procedurali si affievoliscono e assumono la funzione di aiutare il regolatore a formare la propria volontà nel modo più completo possibile, ma non perseguono alcuno scopo democratico di apertura del processo decisionale verso il basso.

Ne deriva, dunque, che la tendenza generale della giurisprudenza inglese è quella di accostarsi il più possibile alla volontà del legislatore e dunque di partire da questo presupposto per valutare la legittimità della misura regolatoria. Ne deriva un atteggiamento generalmente – con le dovute eccezioni – conservatore e deferente nei confronti della linea politica impartita dagli organi politico-rappresentativi.

 

[1] Per una panoramica comparatistica dell’esperienza degli oversight bodies, si v. M. BENEDETTI, Il controllo sull’analisi di impatto della regolazione: l’esperienza degli oversight bodies, in  Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2012, 4: 1057-1105.

[2] Ne deriva pertanto che sarebbe più corretto parlare solamente di analisi di impatto, poiché la valutazione si estende anche a misure non propriamente regolatorie.

[3] È da segnalare, tuttavia, che il Regulatory Reform Act del 2006 ha previsto che i regolatori, siano essi apparati governativi o indipendenti, devono eseguire la loro attività in modo trasparente, accountable, proporzionato e coerente e solo quando tale azione sia necessaria (art. 21). Allo stesso tempo, l’art. 24 delimita il campo di applicazione di tale norma, conferendo al Governo il dovere di emanare orders che specifichino a quali funzioni regolatorie tali doveri si applicano. Il comma 5 specifica che, tra le funzioni regolatorie citate non possono rientrare quelle svolte da alcune autorità indipendentu, tra cui ad esempio l’ OFCOM, l’OFGEM e l’Office for Rail Regulation. L’OFCOM, in ogni caso, è obbligata a effettuare l’AI grazie al Communications Act del 2003, mentre l’obbligo per l’OFGEM è da ricondurre allo Utilities Act.

[4] Sul ruolo e l’attività del Regulatory Policy Committee, si veda M. GIBBSON E D. PARKER, Impact assessment and better regulation: The role of the UK’s Regulatory Policy Committee, in Public Money & Management, vol. 32, no. 4, pp. 257-264.

[5] Si vedano le linee guida del Governo HM GOVERNMENT, IA toolkit. How to do an impact assessment, August 2011.

[6] Per una analisi della funzione dell’AIR nei diversi ordinamenti si veda, su tutti, C. M. RADAELLI, Rationality, power, management and symbols: four images of regulatory impact assessment, in Scandinavian Political Studies, 2010, 33, 164-188.

[7] Tali livelli di scrutinio sono stati formalizzati nel caso CCSU v The Minister for the Civil Service. In tale caso, tuttavia, si precisa che tali categorie non sono esaustive e che dunque sono passibili di futura evoluzione.